Storia della Scuola

Storia dell’isituto

 

L’Istituto “Sofonisba Anguissola” nasce come “Regia Scuola Normale Complementare”, dopo che, nel 1883, viene acquistata dal Comune di Cremona.

La Scuola Normale era un tipo di scuola finalizzato alla “formazione dei maestri e additata a modello di tutte le altre”. La designazione fu adoperata nel Regolamento scolastico di Maria Teresa d’Austria (Vienna, 6 dicembre 1774); questo affermava: « tutte le scuole dovevano essere divise in tre classi: cioè in scuole normali, superiori e ordinarie » e precisava « Le scuole normali hanno la duplice finalità di essere di modello alle altre scuole e di preparare i maestri che devono insegnare: la conoscenza del metodo, la pratica dell’insegnamento, le cose più importanti della disciplina scolastica, la compilazione dei cataloghi, il comportamento negli esami ».

In Italia, in Piemonte per la precisione, le Scuole normali sono precedute dalle Scuole di metodo (RR. Patenti del 1° agosto 1845): una scuola superiore, per formare i professori, e scuole provinciali autunnali, per formare i maestri. La legge Lanza (20 giugno 1858) istituirà 6 scuole normali triennali per allievi maestri e 6 per allieve maestre.

La legge Casati, decreto sancito da Vittorio Emanuele II° il 13 novembre 1859, riprendeva le disposizioni del Lanza e prevedeva l’istituzione di 18 scuole normali . Gli anni di corso erano 2 o 3 (secondo la destinazione degli allievi); obbligatorio il tirocinio. Proposta dal ministro della Pubblica Istruzione, Gabrio Casati, la legge venne estesa, dopo il 1861, al Regno d’Italia rimanendo in vigore, salvo lievi modifiche, fino al 1923, quando fu varata la riforma Gentile.

La legge Gentile riorganizzava la scuola superiore, creava il Liceo Scientifico e l’Istituto Magistrale, equiparandoli al Liceo Classico. Per quanto riguarda la formazione della cultura magistrale introduceva il latino e la filosofia.

Nel 1923 l ”Istituto “Sofonisba Anguissola” prese così il nome di “Regio Istituto Magistrale”.

Alla fine dell’anno scolastico 1999/2000 i corsi magistrali della nostra scuola sono terminati e con essi una lunga storia di tradizioni e cultura.

L’eredità e il bagaglio di esperienze formative e didattiche dell’Istituto Magistrale sono poi passati al Liceo Socio-psico-pedagogico e al Liceo Sociale, nelle sue tre opzioni: Comunicazione, Musicale e Biomedica.

Con l’anno scolastico 2010-2011 sono inizi i Corsi del Liceo delle Scienze Umane e nel a.s. 2014-2015 viene attivato il Liceo Coreutico.

 

Sofonisba Anguissola                                                                                                                                        

La nostra Scuola prende il nome da Sofonisba Anguissola, pittrice cremonese, nata a Cremona intorno al 1535 da Amilcare Anguissola e Bianca Ponzoni. Prima di sette figli, a lei e al fratello Asdrubale spettò continuare, nel nome, la “saga cartaginese”, iniziata dal nonno Annibale e dal padre Asdrubale. Contrariamente alle abitudini del tempo Amilcare Anguissola risolse di coltivare le virtù delle proprie figliole, avviandole non solo allo studio della letteratura e della musica (campi già aperti all’esplorazione del talento femminile), ma anche della pittura, accendendo soprattutto intorno a Sofonisba grandi attese. Si accordò pertanto con il pittore Bernardino Campi, giovane ma destinato a una carriera folgorante nella Lombardia spagnola, e gli mandò a bottega le due maggiori, Sofonisba ed Elena, affinché imparassero a disegnare e dipingere.

 Certamente le due ragazze non frequentarono la bottega vera e propria, accanto a garzoni e apprendisti di ogni risma, ma ricevettero un’educazione che fornì comunque loro i rudimenti dell’arte, in particolar modo dedicandosi allo studio dei ritratti “dal naturale” e tralasciando invece l’invenzione di soggetti religiosi. Dopo la partenza di Bernardino Campi, l’educazione artistica delle Anguissola trovò nuova linfa nell’insegnamento del più anziano Bernardino Gatti, il Sojaro, pavese d’origine ma ben radicato tra Cremona e Piacenza.

Negli anni Cinquanta la cultura artistica di Sofonisba fu ulteriormente sollecitata dal padre: provvide a stabilire contatti con Mantova, Ferrara, Parma, Urbino e infine con Roma per completare l’educazione della figlia e promuoverla presso quelle corti. Non solo Sofonisba e le sue sorelle sono cronologicamente da annoverare tra le prime donne artiste dell’era moderna, ma rappresentano un’eccezione in quanto non furono né figlie né mogli né sorelle di pittori o artisti in genere; esse esercitarono “nobilmente” la pittura, senza ricevere mai commissioni ufficiali (cioè regolate da un contratto notarile o comunque commerciale) e non vendettero la loro opera, ma la elargirono sotto l’ala protettrice del padre, della corte o dei mariti, ricevendone in cambio privilegi, gioielli, stoffe preziose e doni adatti al loro rango di rare virtuose.

 Nel 1566 le sue tele susciteranno grande impressione anche nel Vasari, giunto espressamente in casa Anguissola per verificare la fama dalla famiglia. Nel 1559 Sofonisba fu invitata da Filippo II in Spagna, come dama di corte della nuova regina, la francese Isabella di Valois. Dopo un breve soggiorno trascorso a Milano, presso la corte del duca di Sessa (probabilmente accompagnata, oltre che dai genitori, anche da Lucia), l’artista lasciò definitivamente la Lombardia, dove non avrebbe fatto mai più ritorno per tutto il resto della sua lunga vita, raggiungendo entro la fine dell’anno la corte spagnola, dove fu annoverata tra le dame di Isabella di Valois, unica italiana (e unica di non altissimo lignaggio) in un drappello di francesi e spagnole, e almeno fino alla morte della regina (avvenuta nell’autunno del 1568) prese intensamente parte alla vita di corte, suscitando il commento e l’interesse di molti ambasciatori accreditati presso il re.  

Anche se nessun documento ufficiale menziona mai, in alcun modo, il suo ruolo di pittrice-ritrattista, Sofonisba dipinse numerosi ritratti, ufficiali e non, dei personaggi principali della famiglia di Filippo Il e per alcuni mesi addirittura insegnò alla giovanissima regina a disegnare direttamente dal vero, sostituendo con tale novità le normali attività muliebri, come riferito da numerosi sbalorditi testimoni oculari. Rimase in stretti rapporti epistolari con Cremona, sia con la famiglia paterna, sia con Bernardino Campi.

Quando Isabella di Valois morì di parto nel 1568, tutte le dame del suo seguito tornarono alle famiglie d’origine: solo Sofonisba, affranta, rimase presso la famiglia reale probabilmente perché il rientro a Cremona, a un’età ormai matura e dopo quasi dieci anni trascorsi a corte, sarebbe risultato inadeguato al rango e alla fama acquisiti.Da questo momento in poi sarà al seguito delle due infante, Isabella Clara Eugenia e Caterina Micaela, continuando sempre a dipingere.  

Nel maggio del 1573, quando ormai si avviava verso la quarantina, a Madrid furono celebrate, per procura, le nozze con don Fabrizio Moncada, cadetto siciliano appartenente a una nobile e titolata casata dell’isola. Nella primavera del 1578 Fabrizio Moncada, mentre si recava in Spagna, lla corte di Filippo II affogò in circostanze misteriose durante un attacco sferrato dai pirati barbareschi al largo di Capri. Sofonisba fu rapidamente informata della morte del marito, e si trovò a Paternò da sola, circondata dall’immediata ostilità della famiglia Moncada che sarebbe stata tenuta a restituirie la dote, data la premorienza di Fabrizio.

Nell’autunno del 1579 Sofonisba e il fratello, che l’aveva raggiunta per aiutarla, si imbarcarono da Palermo alla volta della Liguria, ma il maltempo li costrinse a sbarcare con tutti i beni a Livorno, perché il viaggio in mare alle soglie dell’inverno era diventato troppo pericoloso. Qui, entro il Natale del 1579, a Pisa, dove si era provvisoriamente trasferita da Livorno, Sofonisba si sposò una seconda volta, contro il volere del fratello e della corte spagnola, unendosi a un giovane capitano di nave, il genovese Orazio Lomellini, forse conosciuto poco prima della partenza dalla Sicilia.  

Orazio Lomellini apparteneva a una importante casata genovese, ma era un figlio naturale, fortemente legato alla propria attività marinara e mercantile; per tutta la vita fece la spola tra Genova e la Sicilia, dapprima come capitano di una grande galea della Repubblica, la Patrona, poi in proprio, assumendo ruoli sempre più importanti nella “nazione genovese di Palermo” e distaccandosi dalla città natale. Intorno al 1615 Sofonisba fece ritorno a Palermo, dove Orazio Lomellini aveva accumulato cariche e impegni; comprò casa con il marito nell’antichissimo quartiere arabo di Seralcadi e qui forse cessò di dipingere a causa del progressivo indebolimento della vista, anche se probabilmente fu consultata ancora quando si commissionarono a Genova i dipinti per la chiesa di San Giorgio retta dalla nazione dei genovesi.

Nel 1624, a poche settimane dallo scoppio di una tremenda epidemia di peste che sconvolse Palermo, Sofonisba ricevette la visita del giovane Anton Van Dyck, chiamato in città per dipingere il ritratto del viceré Emanuele Filiberto di Savoia; affascinandolo con la propria lucidità e vivacità di conversazione, tanto da indurlo a redigere una memorabile pagina di appunti pro-memoria nel proprio album italiano. 

Sofonisba non ebbe figli, ma dovette stabilire cordiali contatti con i lontani nipoti di Cremona (ricordano le fonti che una figlia di Europa Anguissola, Bianca, mantenne rapporti epistolari con la zia) e con Giulio, un figlio naturale di Orazio Lomellini, che in suo onore battezzò Sofonisba una delle sue figliole. I documenti la ricordano ancora abbastanza vitale nell’estate del 1625 ma, nel mese di novembre, il giorno 16, morì, e fu sepolta nella chiesa di San Giorgio, dove sette anni dopo Orazio Lomellini fece apporre in suo ricordo una commossa lapide commemorativa. 

 

L’edificio storico

L’Istituto Magistrale “Sofonisba Anguissola” ha sede in un Palazzo del XVI secolo notevolmente trasformato negli anni, in quanto sono stati aggiunti in tempi successivi vari corpi, per adeguarlo a sede di una scuola.

Il palazzo apparteneva alla famiglia Araldi-Erizzo, la quale, forse proveniente da Parma, si era trasferita prima a Casalmaggiore dove aveva acquistato lustro con Francesco, creato conte palatino nel 1515. L’ultimo esponente del casato, Pietro, era figlio di Carlo Alfonso Gaetano, ciambellano del Granduca di Toscana, e della contessa Matilde Erizzo di Venezia, figlia di Nicolò Andrea, nominato principe nel 1818 da Francesco I d’Austria.

Il marchese Pietro Araldi è indubbiamente una figura degna d’essere ricordata tra quelle di maggior spicco del nostro Risorgimento, sia per il suo patriottismo, sia per la suo liberalità. Figlio del marchese Carlo Araldi Torresani (che fu precettore dei duca Leopoldo di Toscana), Pietro, nato a Cremona il 16 febbraio 1821, aggiunse al proprio cognome quello della madre, Erizzo, il cui casato si estingueva con lei. 

Noto per i suoi sentimenti liberali, nominato podestà durante il breve periodo in cui, nel 1848, Cremona gustò il sapore della libertà dagli Austriaci, al ritorno delle truppe di Radetzky, si vide costretto ad andare esule in Piemonte. Diede sempre prova delle sue capacità e soprattutto della sua generosa disponibilità.  

Ospitò nel suo palazzo di via Palestro (allora «contrada Diritta») il principe ereditario (e prossimo re) Vittorio Emanuele; mise a disposizione del governo provvisorio di Lombardia 50 cavalli, offrì la bandiera alla prima colonna cremonese guidata da Gaetano Tibaldi, nel Trentino. Nel suo palazzo (ora sede del Liceo statale) ospitò anche Vincenzo Gioberti. 

Durante l’esilio destinò gran parte del suo cospicuo patrimonio a soccorrere i rifugiati. Così in palazzo Barolo, a Torino, dove poi egli alloggiò, fece funzionare un embrionale municipio cremonese, del quale era il podestà.

Amarissimo dovette essere il suo ritorno a Cremona (nel 1850), determinato da due principali motivazioni: il desiderio del padre novantenne (che lo aveva accompagnato nell’esilio) di tornare nella sua città e il timore della confisca totale dei beni. Condannato a pagare 300.000 svanziche, ridotte poi a 160.000, nel 1859 tornò in Piemonte per offrirsi ancora con tutto il suo entusiasmo e con le sue sostanze per lo sforzo supremo. Amico di Vittorio Emanuele, di Cavour e di Gioberti, venne nuovamente nominato podestà e, più tardi, sindaco. Quando Cavour verrà a Cremona, il febbraio 1860, sarà ospite nel suo palazzo.

Nominato senatore a soli 39 anni, ebbe anche la carica di governatore del Reale palazzo di Cremona (Ala Ponzone), Magnifico anfitrione, ospitò sempre gli illustri personaggi che in quegli anni vennero nella nostra città: Umberto ed Amedeo di Savoia, Farini, Luigi Cibrario, Lamarmora e Giuseppe Garibaldi. Stimato e amato dai suoi concittadini non venne mai meno alla fiducia che essi riponevano in lui, sicché non desta meraviglia se Garibaldi gli chiese di operare perchè Cremona inviasse al Parlamento un appello contro la cessione di Nizza alla Francia e perché si facesse iniziatore della sottoscrizione per un milione di fucili. Durante la campagna del ‘66 offerse i suoi mezzi finanziari per la mobilitazione civile e concesse la sua villa di Torre de’ Picenardi ( Malamberti) come sede del quartier generale delle truppe piemontesi. 

Dato fondo al patrimonio avito, egli visse gli ultimi anni della sua vita con l’annuale assegno di quattromila lire attribuitogli dal Re come Governatore del palazzo reale. Morì il 16 gennaio 1881: non aveva ancora compiuto i sessant’anni.

Della dimora dei conti Araldi in via Palestro ben poco è rimasto; per estinzione del casato, alla morte di Pietro, l’edificio, posto in vendita nel 1883, venne acquistato dal Comune di Cremona per la somma di L.31.200 e adibito a Scuola Normale.